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Tasse professionisti: niente Irap per chi esercita la professione in casa senza studio

Tasse professionisti: il professionista che esercita la professione in casa senza apposito studio non deve pagare l’Irap, neanche se si avvale di collaborazioni con studi esterni

Ancora una volta la Cassazione torna ad occuparsi di tasse e professionisti,  in particolare di Irap. Con la  sentenza n. 16941/2015, accoglie il ricorso di un professionista a cui era stata notificata una cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate per l’omesso versamento della somma di 5.700 euro per l’Irap relativa al periodo di imposta 2003.

Nella fattispecie, un avvocato impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino la cartella di pagamento emessa dalle Entrate, ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/73, con cui si chiedeva il pagamento della somma di 5.700 euro per omesso versamento Irap.

La Commissione di primo grado respingeva l’impugnazione con una sentenza poi confermata dalla Commissione regionale del Piemonte.

In particolare, il contribuente lavorava per conto di uno studio legale di Milano senza vincoli di orario e di esclusiva e inoltre aveva promiscuamente adibito la propria abitazione a studio.

Secondo la Commissione regionale, in capo al contribuente non poteva negarsi l’esistenza del presupposto impositivo posto che, a fronte di un reddito dichiarato di 178.000 euro erano stati sostenuti costi per oltre 37.000 euro: questi elementi dimostravano l’esistenza di un’organizzazione autonoma finalizzata alla produzione di reddito, con conseguente assoggettabilità del contribuente all’Irap.

Tuttavia, la Cassazione annulla la decisione della CTR e accoglie il ricorso del professionista.

Secondo i giudici della Corte suprema (come ampiamente condiviso da varie sentenze di Cassazione) il presupposto per l’applicazione dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione ed impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l’esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

L’esistenza di un’autonoma organizzazione non deve essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, bensì in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell’organizzazione di beni, strumenti e/o di lavoro altrui.

Nel caso di specie, il contribuente non ha neanche uno studio proprio ma esercita presso la propria abitazione; lo stesso, inoltre, è solo collaboratore di altro studio ed ha costi che, se valutati nella loro specificità, non denotano autonoma organizzazione tale da rendere il cliente assoggettabile all’IRAP.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali.

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